05 novembre 2011

Bollettino parrocchiale: Domenica XXXII del tempo ordinario - 6 novembre 2011

 Siamo nel mese di novembre tradizionalmente dedicato al ricordo orante per i Defunti. E’ quindi più che mai opportuno una salutare catechesi sulla morte, sulla vita eterna sul valore e il dovere del Suffragio cristiano.
Cominciamo perciò a riflettere sui”Novissimi” (Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso)

PENSARE E PREPARARSI ALLA MORTE
La morte, nonostante che sia una realtà terribile, non impressiona più come una volta. La fretta, il chiasso, la superficialità fanno dimenticare la morte. Si vive come non si dovesse mai morire, come se la morte fosse la fine di tutto, come se non vi fosse l’altra vita.
La guerra, le stragi, le crudeltà, le vendette, gli egoismi, gli spettacoli hanno reso insensibili molti cuori. Non si fa più caso alla morte. La gente è scossa, è distratta, non riflette più. Molti ragionano così: “Quando la morte verrà ce la prenderemo, ma ora viviamo spensierati, stiamo contenti, cerchiamo di godere più che possiamo”.
Non deve essere questa la condotta del cristiano. Il cristiano deve pensare alla morte e prepararsi a ben morire. “Beato chi tiene di continuo davanti agli occhi l’ora della sua morte, e ogni giorno si prepara a morire”.
In qualsiasi età, si deve pensare spesso alla morte, tenerla presente come fatto certissimo che può accadere quando meno si pensa.
Il buon cristiano ragiona così:”Io, o presto o tardi, dovrò morire, dovrò lasciare tutto e tutti; il mio corpo ritornerà alla terra. Devo perciò curare il corpo, dimora dell’anima, perché non abbia ad essere mezzo di male, perché non abbia ad offendere l’anima. Devo preoccuparmi soprattutto dell’anima, interessarmi di vivere in grazia, così quando verrà la morte, l’anima sarà finalmente libera, splendente di vita immortale”.

Se si ragiona e si agisce così, il pensiero della morte non porta tristezza e spavento, ma sarà pensiero salutare che guida e mantiene sulla strada del Paradiso.
E’ impossibile sapere il giorno e l’ora della morte: essa è come un ladro, viene quando meno si aspetta. Gesù Cristo ha detto:”Vigilate, poichè non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte, o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati, vigilate” (Mc 13,35).
Bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinchè, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con Lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati” (LG:48).
Perciò pronti sempre per la partenza, rompere ogni laccio che ci attacca alla terra, tenere a posto ogni cosa, regolare ogni relazione. Non rimettere mai al domani ciò che si può e si deve fare oggi. Soprattutto sempre vestiti a festa, sempre pronti con l’anima chiara, adorna di virtù e di meriti. Sempre leggeri, agili, pronti per un volo sicuro.

Esempio: La morte di un missionario

Giustino De Iacobis, vescovo missionario in Etiopia, morto presso Massaua nel 1860, fu grande apostolo e conquistatore. Pio XII, nel 1939, lo proclamò beato.
Giustino De Iacobis si adattò ai costumi e alla mentalità degli Abissini facendosi “Abissino con gli Abissini”. Fu perseguitato e più volte imprigionato. Dette grande esempio di fortezza e di sacrificio e fu chiamato “Angelo della Chiesa etiopica, maestro dei missionari”.
Un giorno in una valletta squallida e arsa dal sole del deserto, Giustino parla ai suoi compagni della sua prossima morte:”Viene il Signore”, dice. E precisa l’ora della sua morte. E proprio in quell’ora e in quel luogo, sulla nuda terra, poggiando il capo sulla pietra, stringendo il Crocifisso, il compagno delle sue fatiche, e raccomandando la devozione al Papa, egli rende l’anima a Dio.
E, dopo questa morte, si levò un pianto accorato. Cattolici, eretici, musulmani, pagani, tutti quanti a gara resero omaggio all’apostolo e al padre.

COME SI DEVE MORIRE

La morte è il passaggio dalla vita del tempo alla vita eterna. Una buona morte ci introduce all’eternità felice. Quindi è molto importante fare una buona morte.
Chi spezza la catena che lo unisce a questo povero mondo, chi chiude la vita terrena e muore unito a Dio nella carità e nella grazia fa una buona morte. La buona morte è il più grande dono di Dio perché conduce alla meta, alla vita eterna, alla felicità.
Perciò ogni buon cristiano deve augurarsi, desiderare, chiedere una buona morte; deve sapere cosa deve fare per assicurarsi una buona morte.
Bisogna morire piangendo i propri peccati e invocando la misericordia di Dio. La penitenza e la preghiera sono essenziali per ottenere una buona morte. Il Signore vuole vedere il nostro cuore pentito, contrito, ripieno di sentimenti di penitenza e di dolore per le nostre colpe.
La penitenza ricostruisce e rinnova la vita spirituale. Le pene, le sofferenze quotidiane, l’esercizio della pazienza purificano l’anima e la dispongono ad incontrarsi con Dio.
La preghiera perseverante ottiene la buona morte. Si deve invocare la misericordia di Dio, che copra ogni colpa, che purifichi ogni macchia.
Occorre raccomandarsi alla Madonna che è rifugio dei peccatori e aiuto dei cristiani. Chi ricorre a Lei sinceramente pentito e disposto a servire generosamente il Signore, non sarà abbandonato. La Madre celeste otterrà certamente ai suoi figli che la morte sia un tramonto sereno.
Per morire bene è pure molto importante ricorrere ai Sacramenti. Fare la comunione, “il Corpo immortale di Cristo inserisce in noi un seme di immortalità che un giorno dovrà germogliare”.
I Sacramenti danno sollievo e forza agli infermi e ai morenti e li dispongono a lasciare serenamente la terra. L’Unzione degli Infermi e il Viatico non devono essere temuti, ma desiderati e ricevuti con fede.
Il Viatico è il ristoro nel pellegrinaggio verso la vita eterna, è il sacramento del supremo passaggio dal mondo al Padre, è il pegno della risurrezione.
La nostra morte sarà certamente tramonto sereno e inizio di vita beata se la nostra vita sarà sinceramente cristiana.

Esempio: la morte di Giovanni XXIII

Il 3 giugno 1963 morì Giovanni XXIII: il Papa nato povero e morto povero, il Papa semplice, che attraeva per la sua bontà. Di anno in anno era andato incontro a sorella morte, come colui che desidera e sospira la casa del padre. Il letto delle sue sofferenze diventò un altare, una cattedra di verità e di fede.
La sua morte esemplare richiamò le genti a riflettere sul fine della vita: si deve vivere e morire per la gloria di Dio. Durante la vita aveva sempre insegnato a saper vivere, a diffondere la bontà e la gioia. E nella morte insegnò a ben morire, a unirsi ai dolori di Cristo: insegnò a desiderare la casa del Padre per rimanere per sempre con Lui e riposarsi dopo lunghe fatiche.
Papa Giovanni, nei suoi ultimi giorni, disse: “Non vi preoccupate di me perché le valigie sono pronte; io sono pronto, anzi prontissimo a partire”. Le ultime sue parole ripetute tra uno spasimo e l’altro, furono queste: “Soffro con dolore, ma con amore”;”Con la morte comincia una nuova vita”;”Chi muore vive eternamente”.
La sua morte accese la fede in molte anime e le aprì alla carità cristiana.

IL GIUDIZIO

I primi cristiani tenevano presente il giudizio particolare. Nelle Catacombe di Roma pitture suggestive rappresentano il Salvatore in atto di giudicare le anime. I cristiani dinanzi a queste scene rozzamente ritratte, meditavano, e con i richiami del giudizio e della vita dell’aldilà, erano capaci di azioni eroiche.
“Prima di regnare con Cristo glorioso, noi tutti compariremo davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per rendere conto della sua vita mortale, di quel che fece o di bene o di male” (LG:48).
Anche noi richiamiamo spesso il nostro giudizio, facciamone oggetto di serie riflessioni.
Il giudice è il Salvatore che ci ha tante volte perdonato e che abbiamo tante volte offeso. Il momento è quello stesso in cui l’anima si divide dal corpo, senza attesa, perché il tempo di meditare è finito. Il luogo sarà probabilmente quello stesso dove uno muore…il reo è ciascuno di noi…la materia del giudizio sono i nostri peccati e le nostre opere buone…il codice secondo il quale saremo giudicati è il Vangelo, la legge santa di Dio, legge di libertà e di amore, legge essenzialmente di salvezza. I nostri accusatori saranno quelli che ricevettero il male da noi…I nostri difensori saranno i poveri, se li avremo consolati, aiutati, difesi”.
Il nostro giudizio dunque dipende dalla nostra vita. Solo una vita virtuosa, veramente cristiana ci potrà garantire la salvezza eterna.
Che il nostro Angelo custode possa scrivere sempre pagine belle nel libro della nostra vita.
Ogni nostra opera deve essere portata al giudizio; niente sfuggerà alla divina giustizia. Quindi ogni nostra azione deve essere fatta bene perché possa essere approvata da Gesù Cristo.
Siamo pellegrini verso la città di Dio per essere cittadini del cielo. Fuggiamo dunque le opere delle tenebre, operiamo in pieno giorno con tutta onestà, compiendo opere sante. Solo così andremo sereni incontro alla morte, sicuri che nel giudizio vedremo il volto di Cristo che dolcemente ci invita al suo Regno.

Esempio: Tommaso Moro

Quando nel 1534, Enrico VIII, disubbidiente al Papa, si staccò da Roma e si dichiarò capo supremo della Chiesa di Inghilterra, molti cattolici inglesi vennero perseguitati; ci furono circa mille martiri. Tra questi martiri uno dei più illustri fu Tommaso Moro. Egli, uomo di grande fede, non poteva approvare la condotta del re, non poteva aderire allo scisma e fu perseguitato. Dovette ritirarsi a vita privata e si ridusse in povertà; infine fu fatto imprigionare nella Torre di Londra. Ma egli rimase fedele alla Chiesa di Roma. Tutto accettò per amore di Dio.
Alla moglie che si presentò con tre figli a pregare il marito perché acconsentisse al re, Tommaso disse decisamente: “Come posso tradire la mia fede? Gli anni finiscono presto, ma l’eternità non finisce mai”.
Il 6 luglio 1535, Moro su una piazza di Londra saliva il palco di morte. Era sereno perché sicuro di una eternità beata.


Ricordiamo per l’entrante settimana:

Domenica 6 novembre: ore 18.30 Vesperi solenni in onore di S.Giusto martire, Benedizione Eucaristica,
bacio della Reliquia del nostro Santo Patrono ed Assoluzione del Tumulo.
E’ presente la Corale parrocchiale che eseguirà il “Magnificat” di Pachelbel, il
Laudate Dominum” di W.A.Mozart, il “Tantum Ergo” su musica di F.J.Haydn
ed il “Libera me Domine” tratto dalla Messa da “Requiem” di L.Perosi.

Continua l’Ottavario di preghiere per i Defunti:

Lunedì 7 , martedì 8, mercoledì 9 novembre:
ore 09.00 S.Messa d’orario
ore 18.30 S.Rosario a suffragio dei Defunti
ore 19.00 S.Messa cantata da “Requiem” a suffragio di tutti i Defunti con al termine l’Assoluzione al catafalco.

Giovedì 10 novembre: ore 19.00 inizia la catechesi in sala parrocchiale che avrà come tema l’Eucaristia

A tutti il consueto affettuoso saluto e la benedizione


Note:

  • Durante l’Ottavario dei fedeli Defunti, durante le Ss.Messe saranno ricordati tutti i Defunti già iscritti al Suffragio Cristiano di Una Voce Amica
  • Il Parroco è a disposizione dei Fedeli dopo ogni S.Messa o per appuntamento
  • L’Ufficio parrocchiale è aperto ogni mercoledì non festivo dalle ore 9.30 alle ore 12.00
  • E’ stato acquistato un baldacchino per la chiesa che è stato esposto durante le “Quaranta Ore”.
Chi può è invitato a contribuire alla spesa sostenuta di Euro 3.500,00 con un’offerta che può essere consegnata direttamente al parroco o a chi per lui presente in sacrestia. Grazie
  • Si fa presente che la nostra chiesa non riceve contributi da nessuno e quindi vive con le offerte dei fedeli. Un grazie ai benefattori.
  • Per eventuali bonifici o versamenti presso la FriulAdria Credit Agricole – via Mazzini 7 –
34121 Trieste: conto corrente 400855/12 – codice IBAN IT68I0533602207000040085512
  • Chi è interessato a consultare il “Blog” della parrocchia, su internet può digitare l’indirizzo:
www.tradizionetrieste.info

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