16 ottobre 2011

Bollettino parrocchiale: Domenica XXIX del tempo ordinario - 16 ottobre 2011

Continuiamo ad esporre il pensiero del B.Antonio Rosmini sul S.Rosario:

(le due preghiere che compongono la corona di rose a Maria)

Il santo Rosario si compone principalmente dell’Orazione dominicale e dell’Avemmaria: la prima uscita di bocca divina, la seconda composta quasi a due cori dagli angeli del cielo, e dai santi della terra.
Nel Padrenostro è compresa ogni petizione di che l’uomo abbisogna, in giro brevissimo di parole. Poche sono quelle parole, molti e grandi i sensi; umili le espressioni, altissimi i significati; all’idiota è orazion facile ed al savio sublime. Con esso può pregare degnamente qualsiasi cuore magnanimo, con esso meditare profondo qualsiasi mente elevata, con esso santificarsi qualsiasi anima ardente. Già sino colle prime parole di lui; si lascia la terra per sollevarsi in cielo, si dimentica il padre terreno per abbandonarsi al Padre celeste, si stacca il cuore insomma da tutte le cose quaggiù, per attaccarlo alla sola nobile, alla sola preziosa che è colassù in cielo, cioè a Dio.
“Padre nostro, che sei nei cieli”, in questo distacco dalla terra, in questo volo alle celesti regioni, quale libertà non acquista il cuor nostro dai ceppi corporei, quale agilità, e purezza sol propria delle pure intelligenze, qual dignità e quasi padronanza favellando il servo da libero, lo schiavo da figliuolo! Il Dio immenso del cielo, quegli che stringe in pugno la folgore, e con un guardo fa traballar le montagne, non è per chi prega coll’orazion del Signore, un minaccioso sovrano e un zelatore Iddio, ma è un tenero genitore, Il Padre nostro che sta ne’ cieli.

Padre noi osiam dirgli, Padre nostro comune con una sola voce, e con un solo cuore il chiamiamo tutti, e siamo milioni e milioni di redenti. Deh come potevamo ardire di così chiamar l’Infinito, noi uomini peccatori come pur siamo, noi vittime dell’eterna giustizia come dovevamo essere; Gesù stesso non ce l’avesse messo in su’ labbri con tale orazione? Anzi se egli stesso Gesù Cristo qual capo di tutti noi non orasse con noi insieme al Padre, o più tosto non dicessimo noi in lui quasi nascosti “Padre nostro, che sei nei cieli?”
Qui certo viene espresso, uditori, il gran mistero della nostra adozione in figliuoli di Dio, fatta per mezzo di Gesù Cristo, il solo figliuol di Dio per natura. E quindi è appunto, che fin da quelle prime parole ci accostiamo fidatamene al Creatore dell’universo, non quasi sudditi, ma quai figliuoli, in compagnia di Cristo, e colla bocca istessa di Cristo gli diciam Padre, e per i meriti di Cristo ogni cosa più grande gli addomandiamo, e che venga il suo regno, e che sia fatto il suo volere in terra come nel cielo, e che ci sia dato il nostro pane ogni giorno, e che i debiti nostri ci sieno rimessi, e che non siamo indotti nelle tentazioni ma liberati dal malvagio demonio.
Deh quante cose son queste, che un solo Iddio può dare, un solo Cristo dimandare, e solo l’uomo unito a Cristo ottenere! Bellissima, e altissima è dunque questa prima orazione; né solo alla più vaga fra le vermiglie rose si dee pareggiare, ma ben anco alla più rara fra le gemme preziose; rosa del giardino celeste, gemma tratta da’ colli eterni. Oh rosa, oh gemma, che sì bene a Maria stai sul capo! A quella Maria al Signore accettevole, che tutto ci ottien da lui, se a lui si mostra coronata delle nostre preghiere composte da Cristo, o dal suo Spirito suggerite!
E dal suo spirito fu suggerita certo eziandio l’angelica Salutazione. Intorno alla quale, brevissima com’ella è, lavorò pure e l’angelico ingegno e l’umano. Lavorò Gabriello, quell’angelo, che a’ servigi occorrenti circa la grand’opera dell’Incarnazione fu deputato; lavorò Elisabetta, che a genitrice del Battista fu eletta; lavorò la Chiesa, che a madre nostra fu preordinata. Né ci stiamo a maravigliare, o fratelli, se tanti artefici s’adoprassero in componimento sì piccolo, perocché né pur tanti sarebbero potuti venirne a capo, se di quella eccellenza stati non fossero, e di quella virtù.
Così appunto accade della rosa, che benché appaia piccol fiorello, il qual poco s’ammira da chi poco il considera, tuttavia tanto ha in sé stesso di leggiadrìa, tanto di morbidezza e di beltà nelle foglie, e di finissima tessitura, e tanto di sapienza nella scelta de’ succhi e delle molecole prime che attraendosi e attenendosi insieme il formano, e nella distribuzione de’ vasellini,e nella costruzione degli organi molti, necessari, opportuni, e tanto di potenza creatrice nella materia prima; che né pure tutti insieme gli uomini, ancorché esaurissero le loro arti e stancassero i loro ingegni, giugnerebbero mai a farlo essere ciò che è, né a dargli le leggi, se la mano stessa della natura non fosse entrata all’impresa, e il dito di quell’artefice sapientissimo e onnipotente che fabbricò tutto il mondo.
Paia dunque la preghiera dell’Avemmaria piccola e semplice cosa all’uom materiale, che, gonfio dell’umane apparenze, non conosce la grandezza immensurabile della sapienza divina e della umiltà. Non così a noi; i quali vogliamo di spesso, e pieni di amore, prorompere ne’ belli accenti, a cui Gabriello i labbri ci muove:”Dio ti salvi, o Maria, piena di grazie, il Signore è teco”; e seguitare con Elisabetta: “e benedetto è il frutto del tuo ventre”, il quale è Gesù.
Veramente Maria è piena di grazia. Ella appartiene a’ due testamenti: all’antico, e quindi ha la grazia della maternità, e al novello, e quindi ha la grazia della verginità. Ha la grazia d’ornamento innanzi agli uomini, ha la grazia di salute innanzi a Dio; grata agli uomini per la dignità e maestà de’ doni esteriori, grata a Dio per l’abbondanza e la squisitezza de’ doni interiori. Quindi “fra tutte le donne essa è veramente benedetta”, benedetta fra tutte pel germe, che nel seno racchiuse, che è fonte di ogni benedizione; sicchè non solo ell’ha le benedizioni tutte, ma ne possiede in proprio, e ne produce financo la perenne sorgente.
Oh quanto a ragione adunque esclamiam colla Chiesa: “Santa Maria, madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della morte nostra”: preghiera efficace, preghiera che non può non essere esaudita, giacché dicendola noi madre di Dio, le rammemoriam la ragione perch’ella è madre dell’uomo, e rammentiam così le sue glorie non di fregi fugaci o di vane parole di lode abbellendola, ma di quegli ornamenti che Dio stesso le mise intorno, e che vincono le bianche e vermiglie rose in fragranza e in vaghezza, e le lucenti gemme in ricchezza ed in pregio.
Ora queste due orazioni del Padrenostro e dell’Avemmaria, sì semplici e sì sublimi, vengono ripetute le molte volte nella recitazione del Rosario: ripetizione che dimostra essere il Rosario una divozione d’amore, e che provvede altresì all’infermità dell’umana mente, che a tanta fatica ne’ sentimenti spirituali s’affissa.
Certo, egli è costume dell’amore il ripetere le stesse voci. Mirate un amante. Allorchè favella alla persona amata, egli non si contenta già di dirle una sola volta che l’ama, di manifestarle una sola volta i suoi vari affetti, di pregarla una sola volta di contraccambio; ma amore lo spinge a ripetere, e ripetere senza posa e senza tedio le mille volte le cose stesse, le stesse espressioni affettuose, gli stessi sensi, gli stessi sospiri, le stesse promesse; né gli par mai d’averle dichiarato quanto dentro egli prova con efficacia bastevole, non gli par mai d’essersi sfogato a sazietà.
Così fa il divoto, così fa l’amante di Maria alla dolce sua Vergine, alla dolce sua Madre; così fa l’amante di Dio al suo sommo Bene, al suo amor celeste. Ripetiam dunque, o fratelli, come veri amatori di Dio l’orazione dominicale al nostro celeste Padre; ripetiamo come innamorati di Maria la Salutazione angelica alla nostra celeste Madre: ma amor sia quello, che a ripetere tali accenti ci muova i labbri, perché allora avverrà che in ripeterli non sentiremo mai noia, non mai stanchezza.
E nelle frequenti ripetizioni, avverrà altresì che una recita attenta supplirà al difetto di un’altra disattenta; e ad una salutazione che non avrem forse detta con quel fervore che si conviene, per umana infermità, verrà appresso un’altra, dove potrem compensar col fervore la nostra precedente freddezza. Di tante volte che la prece stessa ripeteremo, l’una o l’altra giugnerà all’orecchio di nostro Padre e di nostra Madre, e dal calore e dalla tenerezza d’una sol Ave, questa prenderà argomento del vivo e figliale amore che abbiam per lei in questo cuore pur sì distratto.
Oltrecchè nell’espressioni amorose, non ogni volta riesce un cuore, sebben amante, di spingerle fuori colla stessa efficacia, né l’interiore affetto è sempre lo stesso, sebbene le stesse sieno le parole d’un labbro. S’aggiunge che nelle due orazioni di cui parliamo, sono infiniti i sensi reconditi, infinite le finezze dell’amore: onde il divoto, che pur ripete sempre co’ labbri le stesse parole, non ripete però sempre col cuore gli stessi sensi, le stesse preci: ma coll’ardore della mente vi trova cose nuove, cose nuove vi trova coll’acutezza del cuore; e ad ogni recitazione de’ labbri, risponde nella mente e nel cuore una più intima, e più profonda, e più calda meditazione. Sicchè non si può dire né pure quella ripetizione delle parole essere una ripetizione dell’orazione medesima, in quanto l’orazione è levamento dello spirito dell’uomo a Dio; poiché lo spirito dell’uomo, che in segreto accompagna il movimento de’ labbri, manda sempre al Signore nuovi tratti d’amore, a lui esprime nuovi sentimenti, a lui innalza nuove dimande. Che se l’uom vedesse tutto in un solo colpo, e tutto in un atto solo potesse al cielo mandar l’amor suo, allora solo egli non abbisognerebbe più di ripetere le stesse espressioni. Tale ripetizione adunque è indizio certo d’amore, ed è mirabilmente adatta alla condizione dell’umana natura, e provvede mirabilmente all’umana infermezza.
Ma quanto non è altresì conveniente la brevità e la facilità di quelle preci! Le quali non v’è fedele di sì scarsa memoria, che non sappia apprendere e ritenere, o di sì poco animo, che all’aspetto di sì semplici formole, sebben sublimi, s’atterrisca, credendole sproporzionate alla sua capacità. Agevoli e piane, senza studio di parole, senza ostentazione di sentenze, a tutti danno fiducia di doverle intendere, e al fanciulletto e alla donnicciuola pare con esse di usare del proprio linguaggio; benché poi rassomiglino ad un fonte immenso, le cui acque se valgono a dissetare un agnello, abbeverano altresì un elefante senza scemare.
Pregio è questo singolarissimo di tutte le divine parole, le quali il Verbo pronuncia nella sua Chiesa a bene di tutti i cari figliuoli del celeste suo Padre; onde a tutti sono proficue ugualmente, tutti illuminano, tutti riscaldano e grandi e piccoli, come il sole, che dall’altezza del cielo, dove umano ardimento non giunge, manda i suoi raggi benefici sulla terra, e splende sui miseri poverelli, come sui doviziosi, e illumina gli occhi de’ pezzenti, come quei de’ monarchi.
Belle adunque, sublimi, efficaci, semplici, facili, divine sono le due preghiere, che compongono la corona di rose a Maria, e tali che d’ogni famiglia cristiana possono e debbon essere carissima consuetudine.


Si ricorda:

Domenica 16 ottobre ore 18.30: Funzione mariana (Esposizione, S.Rosario, canto delle Litanie e Benedizione
Eucaristica) con la presenza del
tenore Raffaele Prestinenzi e del baritono Tiziano Vojtissek
che eseguiranno in duetto il canto del “Tantum Ergo”.
ore 20.45: II^ Concerto spirituale per il mese di ottobre tenuto dal nostro direttore
della Corale parrocchiale, M° Elìa Macrì (organo) e da due componenti la
Corale stessa, il tenore Raffaele Prestinenzi e la soprano Ingrid Iellenz.

Durante tutte la settimana, da Lunedì a venerdì compresi, alle ore 18.30 recita del S.Rosario, canto delle Litanie e Benedizione Eucaristica

Anticipiamo:
Domenica 23 ottobre ore 20.45: III^ Concerto spirituale tenuto dal
soprano Clara Spetti, dall’organista Serafino Gega e con la presenza della “Voce recitante” Fabiana Polli.

Salutando tutti con paterno affetto, volentieri Vi benedico
Don Stefano Canonico





Note:
  • Il Parroco è a disposizione dei Fedeli dopo ogni S.Messa o per appuntamento
  • L’Ufficio parrocchiale è aperto ogni mercoledì non festivo dalle ore 9.30 alle ore 12.00
  • E’ stato acquistato un baldacchino per la chiesa che è stato esposto durante le “Quaranta Ore”.
Chi può è invitato a contribuire alla spesa sostenuta di Euro 3.500,00 con un’offerta che può essere consegnata direttamente al parroco o a chi per lui presente in sacrestia. Grazie
  • Si fa presente che la nostra chiesa non riceve contributi da nessuno e quindi vive con le offerte dei fedeli.
  • Per eventuali bonifici o versamenti presso la FriulAdria Credit Agricole – via Mazzini 7 –
34121 Trieste: conto corrente 400855/12 – codice IBAN IT68I0533602207000040085512
  • Chi è interessato a consultare il “Blog” della parrocchia, su internet può digitare l’indirizzo:
www.tradizionetrieste.info

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