30 marzo 2010

Introduzione all'Ufficio delle Tenebre

L’Ufficio divino che si recita durante i giorni del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, ritiene più di ogni altro dell’antica semplicità, più di tutti contiene molti e sublimi misteri, che meritano di essere bene intesi, per poter trarne miglior vantaggio spirituale. In esso i sentimenti di lutto per la prossima passione e morte del Redentore si fondono insieme a quelli dell’affetto verso di Lui, innocente vittima; sicché colui che attentamente e devotamente vi assiste, sente riempirsi l’anima di sgomenta compunzione, ma altresì di suprema e salutare consolazione.
All’Ufficio di questi tre giorni è rimasto l’antico nome di Ufficio delle Tenebre: non solamente perché si recita durante la notte, non soltanto in quanto termina a lumi spenti ed è Ufficio di lutto, che ci rappresenta i funerali del Redentore, ma anche e soprattutto perché in questo triduo si ricordano le tenebre sensibili che si sparsero sulla terra alla morte del Redentore, nonché le tenebre intellettuali che offuscarono la mente dei suoi nemici che non lo riconobbero, ma anche dei suoi discepoli che lo abbandonarono.


Il grande candelabro triangolare con le sue quindici candele, posto, durante questi Uffici, davanti all’Altare maggiore, riveste un carattere di intensa e mistica simbologia. Le quattordici candele che si trovano sui lati del triangolo, e che vengono via via spente una dopo l’altra, rappresentano gli undici Apostoli rimasti e le tre Marie, la cui fede ed il cui fervore si indebolirono fino a spegnersi nelle ore della passione e morte del Signore. La candela più alta, quella che si trova al vertice del triangolo, rappresenta il Cristo: essa non viene spenta ma solo nascosta, a significare che la divinità di Gesù non venne mai meno, ma solo fu velata durante l’ignominiosa passione.
Al termine di ogni Salmo, dunque, si spegne una candela, ad eccezione di quella che sta alla sommità del candelabro: le candele si spengono ad una ad una, poiché appena fu vicina la morte del Redentore, i discepoli, raffreddati dal loro primo fervore, mancarono alle promesse, e quasi tutti, per provvedere al loro scampo con la fuga, abbandonarono i loro Maestro; e quelli stessi che lo seguirono al Calvario, rimasero sopraffatti dal dolore. La candela che rimane accesa e che alla fine si nasconde sotto l’Altare, ci rappresenta, appunto, Gesù Cristo: egli venne ad illuminare il mondo, che da tanti secoli giaceva nelle tenebre e nell’ombra di morte, ma gli uomini ingrati e perversi, invece di accoglierlo con gioia, fecero di tutto per oscurarlo ed estinguerlo. Quando poi credettero che fosse rimasto estinto, fu allora che, risuscitato da morte a vita immortale, più luminoso di prima, venne predicato a tutte le genti, e conosciuto da tutto il mondo. Inoltre nella morte del Redentore l’anima si separò dal corpo, ma non si separò la divinità. È proprio ciò che significa il cero che, tenuto alquanto nascosto, si fa poi rivedere. Dopo il Benedictus, al termine dell’Ufficio, i lumi sono tutti spenti, per significare le tenebre prodigiose, che alla morte del Redentore coprirono la terra, e la funesta ed ostinata cecità in cui viene a permanere chiunque si chiuda all’amore di Dio.
La Chiesa in questi giorni è in lutto, non ha che sentimenti di dolore, e vorrebbe che ne fossero piamente commossi i fedeli. Negli Uffici omette ogni segno di allegrezza, si dedica soltanto in pensieri mesti e dolorosi. Tralascia l’Invitatorio, non conclude i Salmi con il Gloria Patri, non canta Inni, non chiede benedizioni, non legge Capitoli; insomma, si può dire che non pensi che a piangere e dolersi per i nostri peccati e per le pene del Redentore.
Il piccolo rumore (strepitus) che si fa alla fine delle Lodi rappresenta la confusione ed il turbamento che si produssero nel momento della morte del Signore. Si oscurò il sole; si scosse e tremò la terra; il velo del Tempio si squarciò da capo a fondo; si aprirono i sepolcri; si spezzarono le pietre: parve andar sottosopra il mondo, e la natura tutta risentirsi e turbarsi. Ma il Centurione e molti altri che, avendo ben inteso quelle voci di grande orrore e di molto significato, immediatamente illuminati, mutati nel giudizio, compunti nel cuore, battendosi il petto a capo chino, se ne tornarono, pensando alle cose che avevano vedute e udite, e in sincerità confessarono per Figlio di Dio quello che avevano veduto spirare in croce fra tanti portenti.
Ogni ora è terminata dalla stessa Orazione Respice, nella quale la Chiesa fa ricorso a Dio, pregandolo di riguardare con pietà coloro per i quali il suo Figlio Signor nostro si è compiaciuto soffrire la morte. Per dare forza e merito alle sue preghiere, chiude quest’orazione con la solita conclusione, cioè che sia esaudita per i meriti di Gesù Cristo. In ogni altro tempo il popolo, prima dell’Orazione, è avvertito con il saluto Dominus vobiscum, ma in queste ore tutte dolenti, il saluto si tralascia, non si attende l’acclamazione Amen, e la stessa conclusione si dice in segreto, quasi in silenzio, a ricordarci la mansuetudine con la quale, senza profferire parola e senza lamento, Gesù andò come Agnello pacifico alla morte.

1 commento:

EFFE ha detto...

MERAVIGLIOSO