Dopo alcuni accenni sul Rosario ci sembra opportuno proporre delle considerazioni cha riassumano e definiscano nel modo più chiaro possibile cosa esso sia.
Il Rosario ossia il Salterio della B. V. Maria è: ”Sacra quaedam formula precandi Deum in honorem Beatae Mariae, qua per quindecim Salutationis Angelicae decades, interiecta singulis Oratione Dominica, quindecim praecipua Redemptionis humanae Mysteria piis meditationibus percensentur” (E’ una formula sacra di pregare Dio in onore della Beata Maria, che per quindici decadi di “Ave Maria” intercalate ognuna dal “Padre nostro”, vengono considerati con pie meditazioni i principali Misteri della Redenzione umana). Così afferma il Papa S. Pio V nella costituzione “Consueverunt Romani Pontifices” del 17 settembre 1569. L’indole di questa devozione consiste, allora, nell’unire all’orazione mentale quella vocale e perciò le sue parti essenziali sono i Misteri, il Pater noster e l’Ave Maria.
Senza la meditazione dei Misteri anche se si recitassero moltissimi Pater ed Ave non si ha il Rosario; così come senza il determinato numero di Pater ed Ave quantunque si meditassero i Misteri. A commento di quanto detto così si esprime il P. Esser O.P.: “Come il corpo e l’anima unendosi costituiscono l’uomo vivente, così ciò che costituisce la vivente e vivificante preghiera del Rosario è la pertinente unione della meditazione con le preghiere vocali. Non che la preghiera vocale, quando viene fatta bene, non sia di per sé stessa buona, ma non costituisce l’essenza del Rosario. Le preghiere vocali sono in esso come la materia a cui la sola meditazione dei Misteri può imprimere la forma e la caratteristica sue proprie”.
Nella definizione enunciata all’inizio ed anche in altri documenti sul Rosario, non si fa menzione del “Gloria Patri” per cui si deduce che questa dossologia non è parte essenziale nella recita del Santissimo Rosario; dunque le singole decadi possono concludersi a piacere o con il “Gloria Patri” o con il “Requiem aeternam” se lo si reciti in suffragio dei defunti, così come voleva il B. Pio IX, senza che vengano meno le Indulgenze annesse a questa pia pratica. A supporto di quanto affermato citiamo il nuovo “Enchiridion Indulgentiarum” edito nel maggio 1986 che ricalca la definizione data del Rosario da S. Pio V non menzionando, fra gli elementi che lo compongono, il “Gloria Patri”. Attualmente si concede l’Indulgenza plenaria per chi lo recita in chiesa o in un oratorio, in famiglia, in una Comunità religiosa, o in una pia Associazione; altrimenti l’Indulgenza è parziale. Per ottenere l’Indulgenza plenaria, oltre a quanto sopra, e sempre alle solite condizioni (la pia pratica prevista, nella fattispecie la recita del Rosario, la Confessione e Comunione sacramentale e le preghiere secondo le intenzioni del Sommo Pontefice), si stabilisce quanto segue:
1) È sufficiente la recita della terza parte del Rosario, ma le cinque decadi devono essere recitate senza interruzione
2) Alla preghiera vocale va ad aggiungersi la pia meditazione dei misteri
3) Nella recita comunitaria, i Misteri devono essere enunciati secondo la consuetudine locale approvata; in quella privata è sufficiente che il fedele aggiunga alla preghiera vocale la meditazione dei Misteri
4) Presso gli Orientali dove non si ha la prassi di questa devozione, i Patriarchi potranno stabilire altre preghiere in onore della B. V. Maria (ad es. presso i Bizantini l’inno “Akathistos” o l’ufficio “Paraclisis”), che godranno delle stesse indulgenze del Rosario.
Il Rosario ossia il Salterio della B. V. Maria è: ”Sacra quaedam formula precandi Deum in honorem Beatae Mariae, qua per quindecim Salutationis Angelicae decades, interiecta singulis Oratione Dominica, quindecim praecipua Redemptionis humanae Mysteria piis meditationibus percensentur” (E’ una formula sacra di pregare Dio in onore della Beata Maria, che per quindici decadi di “Ave Maria” intercalate ognuna dal “Padre nostro”, vengono considerati con pie meditazioni i principali Misteri della Redenzione umana). Così afferma il Papa S. Pio V nella costituzione “Consueverunt Romani Pontifices” del 17 settembre 1569. L’indole di questa devozione consiste, allora, nell’unire all’orazione mentale quella vocale e perciò le sue parti essenziali sono i Misteri, il Pater noster e l’Ave Maria.
Senza la meditazione dei Misteri anche se si recitassero moltissimi Pater ed Ave non si ha il Rosario; così come senza il determinato numero di Pater ed Ave quantunque si meditassero i Misteri. A commento di quanto detto così si esprime il P. Esser O.P.: “Come il corpo e l’anima unendosi costituiscono l’uomo vivente, così ciò che costituisce la vivente e vivificante preghiera del Rosario è la pertinente unione della meditazione con le preghiere vocali. Non che la preghiera vocale, quando viene fatta bene, non sia di per sé stessa buona, ma non costituisce l’essenza del Rosario. Le preghiere vocali sono in esso come la materia a cui la sola meditazione dei Misteri può imprimere la forma e la caratteristica sue proprie”.
Nella definizione enunciata all’inizio ed anche in altri documenti sul Rosario, non si fa menzione del “Gloria Patri” per cui si deduce che questa dossologia non è parte essenziale nella recita del Santissimo Rosario; dunque le singole decadi possono concludersi a piacere o con il “Gloria Patri” o con il “Requiem aeternam” se lo si reciti in suffragio dei defunti, così come voleva il B. Pio IX, senza che vengano meno le Indulgenze annesse a questa pia pratica. A supporto di quanto affermato citiamo il nuovo “Enchiridion Indulgentiarum” edito nel maggio 1986 che ricalca la definizione data del Rosario da S. Pio V non menzionando, fra gli elementi che lo compongono, il “Gloria Patri”. Attualmente si concede l’Indulgenza plenaria per chi lo recita in chiesa o in un oratorio, in famiglia, in una Comunità religiosa, o in una pia Associazione; altrimenti l’Indulgenza è parziale. Per ottenere l’Indulgenza plenaria, oltre a quanto sopra, e sempre alle solite condizioni (la pia pratica prevista, nella fattispecie la recita del Rosario, la Confessione e Comunione sacramentale e le preghiere secondo le intenzioni del Sommo Pontefice), si stabilisce quanto segue:
1) È sufficiente la recita della terza parte del Rosario, ma le cinque decadi devono essere recitate senza interruzione
2) Alla preghiera vocale va ad aggiungersi la pia meditazione dei misteri
3) Nella recita comunitaria, i Misteri devono essere enunciati secondo la consuetudine locale approvata; in quella privata è sufficiente che il fedele aggiunga alla preghiera vocale la meditazione dei Misteri
4) Presso gli Orientali dove non si ha la prassi di questa devozione, i Patriarchi potranno stabilire altre preghiere in onore della B. V. Maria (ad es. presso i Bizantini l’inno “Akathistos” o l’ufficio “Paraclisis”), che godranno delle stesse indulgenze del Rosario.
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